In questa sezione è possibile pubblicare i propri
lavori fotografici.
Immagini che fanno parte di un progetto, una serie di scatti
che raccontano una storia o rappresentano un concetto.
Reportage, sperimentazioni, esposizioni, mostre, etc.
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pubblica.
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"Mongolfiere"
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Fotografo: Roberto
Magni |
Dicono che mille anni fa certi monaci irlandesi si lasciassero
trasportare su una barca senza remi dal gioco delle correnti,
andando alla deriva. Dove il mare li depositava, lì
sbarcavano e predicavano. In questa loro fede assoluta c'era
non solo una fiducia illimi-tata nell'Altissimo, ma anche
una predisposizione dell'animo, una capacità di lasciarsi
andare che il mondo di oggi non conosce più. Poi
vennero i fratelli Montgolfier, nel secolo dei lumi, mostrando
per la prima volta che l'uomo può navigare anche
nel cielo, e che si possono governare le correnti. Le loro
prime ascensioni dimostrative, compiute sotto lo sguardo
incredulo di folle curiose, colpirono anche la fantasia
dei poeti. Vincenzo Monti scrisse, più di duecento
anni fa, un'ode celebrativa in cui, immaginando di affacciarsi
dalla navicella che si alza sempre di più, dice:
"fosco di là profondasi / il suol fuggente ai
lumi / e come larve appaiono / città foreste e fiumi".
Lo sguardo del cosmonauta che vede rimpicciolirsi le case
e i paesi, mentre la corrente del vento rapisce la mongolfiera
per guidarla attraverso rotte invisibili, tradisce ancora
oggi la stessa emozione.
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Ma non è
più tempo di frati irlandesi: la navicella ha zavorre
e valvole, che permettono di scendere a patti con la casualità
dei venti, e il timoniere si alza e si abbassa a suo piacere,
anche se non può andare controcorrente. Non si arrende
al tutto, non è come una foglia che il vento trascina
via: la deriva è controllata, e c'è un equilibrio
bellissimo, che cambia di attimo in attimo, tra il mondo
intero e la navicella. Gli aeronauti si lasciano trasportare
con fiducia da un filo d'aria o dal vento impetuoso perché
sanno che comunque, quando vogliono, è consentito
loro scendere; ma la bellezza del gioco consiste nel prolungare
il più possibile quell'equilibrio fragile, dina-mico,
altalenante, tra la navicella e l'oceano dei venti. E i
movimenti avvengono con dolcezza, senza strappi o sussulti,
accentuando la sensa-zione di essere una parte del tutto,
docili fibre dell'universo, in armonia con la natura. Quando
Roberto Magni partecipa a regate d'alta quota, assecondando
i venti per lasciarsi trasportare lontano, sente il bisogno
di fermare, di bloccare in una immagine che rimanga quella
pace che si sperimenta momento per momento, quel senso di
libertà di fronte all'infinito, quell'apertura di
spazi che cambia continuamente di prospettiva, quell'equilibrio
altalenante che si rimette in gioco minuto per minuto. Tuttavia
le sue foto non sono descrittive, documentarie. Non più
schiacciato dalla forza di gravità, il fotografo
scatta in libertà, lasciandosi andare alle emozioni.
Di quello scorcio coglie, come in un flash, l'esplosione
del colore; da quella prospettiva dondolante scorge, come
su uno schermo, un paese che emerge nella foschia; inse-guendo
una nuvola intravede valli e convalli una dietro l'altra;
nella scia del vento fotografa, come in una processione,
la fila ordinata delle mongolfiere. Così, alcune
immagini sembrano grafica pura, altre ricordano le illustrazioni
scientifiche, altre infine sono particolari e suggestive
visioni paesaggistiche. I frammenti di mondo terreno che
emergono tra uno scorcio e l'altro sono come isole lontane
alle quali si ancora per pochi attimi lo sguardo, prima
di cambiare orizzonte. Le foto sono come tante ancore gettate
nelle rade del cielo per fermare istanti fuggenti. In ognuna
di esse ritroviamo ritmi, colori, emozioni, visioni colte
tra scendere e salire, che qui si trasformano in immagini
per trasmettere altri ritmi, colori, emozioni, visioni in
equilibrio tra restare e partire.
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