Francesca Dotta
Francesca Dotta - Sacile (PN)
Francesca Dotta é nata a Pordenone nel 1978.
Interessata al campo dell’Arte in generale, alla fotografia, alla multimedialità, a internet.
Nel 2004 partecipa alla 9^Internazionale di Fotografia di Solighetto (Tv), e viene segnalata dal maestro Lanfranco Colombo.
Dal 2005 è presente negli archivi della fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia.
Inizia, molto presto, con le stampe in bianco e nero dedicandosi principalmente a foto di interni privilegiando gli effetti tra linee e luci, ma non tralasciando di riprendere gli esterni, proponendo inquadrature particolarmente interessanti per taglio e cromatismo.
La figura umana viene ripresa in modo alternativo, non stereotipato e comunque vissuta come protagonista-interprete di scorci di vita quotidiana.
Raramente, per scelta, utilizza ed applica le tecniche digitali che le consentirebbero, con la manipolazione delle immagini, un’alterata creatività dichiaratamente non voluta.
Gli scatti dell’autrice rappresentano tutto un susseguirsi di occasioni passate con la macchina fotografica a tracolla, pronta a cogliere il famoso "momento decisivo" decantato dal Cartièr Bresson.
Su tutto, uomini, oggetti, bambini e vecchi, porta una straordinaria sensazione di serenità e di umanissima ironia.
Una capacità e una ricchezza di immagini dove la componente poetica ben si accosta a quella vena pittorica che rende i suoi lavori ancor più ricchi di emotività.
Immagini di straordinaria ricchezza formale, di eccezionale forza espressiva che permettono di imporsi con tono deciso.
Taglio trasversale esplicito o intuitivo. Forma scalena mutevole oppure immobile.
Natura artificiale disposta a farsi contemplare nell’algida avarizia - calcolata - del bianco e nero. Francesca Dotta sceglie il soggetto – oggetto comune – e lo racconta attraverso suggestioni formali ricavando nuovi ruoli interpretativi, nuovi punti di vista.
Parrebbe, la sua, una necessità di entrare “dentro le cose” per descriverne forma e materia, attraverso un punto di vista ravvicinato, prepotente, innaturale. Bagliori metallici, venature del legno, lucide plastiche e chiaroscuri d’uovo; oggettistica di quotidiana appartenenza offerta all’”occhio meccanico” per un’analisi di forma e materia.
Visioni che raccontano con spirito grafico ed essenziale oggetti che spesso stanno sul palmo di una mano e che invece appaiono smisurate presenze un po’ inquietanti.
L’ “occhio” segue l’andamento curvilineo di un mestolo; precipita vertiginoso lungo l’impugnatura di un cucchiaio; si sofferma, impaziente, sui dentelli di una lucida chiave d’acciaio, o sulla spirale affilata di un cavatappi; oppure ancora, scandisce il ritmo, severo e cadenzato, degli elementi di uno scolapiatti non più riconoscibile.
Astrazione e poetica concettuale, favorita quest’ultima da titoli che incoraggiano, alcune volte inseguono, altre ancora allontanano l’oggetto dal suo abituale significato o funzione. Meglio se con ironia.
L’obbiettivo è dunque uno strumento di ‘rivelazione’, capace di svelare quella realtà segreta, invisibile allo sguardo distratto dell’occhio qualunque, per restituircela ipertrofica attraverso ottiche iperfocali. Non il colpo di sonda bressoniano, ma il “tempo lungo” di una fotografia progettata e messa a punto con intenti precisi, tempi ragionati, utili a catturare una nuova essenza a contrasto elevato, a discapito dei grigi intermedi..
La cosità delle cose, potremo chiamarla…
Andrea Delle Case